La storia di Baggio e delle sue genti.
I Celti nella pianura milanese.
Conferenza di Massimo de Rigo
Nel corso degli ultimi millenni i caratteri geografici fondamentali della pianura padana non sono mutati di molto. È mutata I’idrografia, per le variazioni climatiche e per l’azione dell’uomo che si è manifestata in modo diretto, con arginí, canalizzazioni e bonifiche o indirettamente con l’erosione dovuta al disboscamento, determinando in modo fondamentale Ia mutazione del regime di circolazione delle acque.
Nell’età moderna e soprattutto nell’ultimo secolo, lo sviluppo economico, demografico e industriale di una delle aree più ricche d’Europa ha stravolto profondamente il quadro ambientale e l’aspetto del paesaggio.
I testi antichi che parlano della Gallia Cisalpina, soprattutto quelli che descrivono operazioni militari come il “de bello gallico” di Cesare, testimoniano I’esistenza di immense foreste, sia in montagna che in pianura, e di considerevoli superfici occupate da paludi e acquitrini.
La quercia costituiva foreste vergini impenetrabili e, a seconda dei terreni e delle quote, anche boschi misti con I’olmo, il faggio, il frassino, il larice, I’abete bianco e il pino selvatico.
Le paludi erano molto estese in pianura, soprattutto nella zorla delle “risorgive” e nelle fasce di esondazíone intorno ai ftumi, dove prosperava una vegetazione con giunchi e canne palustri. L’esistenza di queste aree paludose, che solo I’azione dei monaci nel Medioevo iniziò a bonificare, considerata anche barriera geografica, viene indicata dai linguisti il principale motivo che differenzía nettamente il dialetto pavese influenzato da quello emiliano e piemontese) da quello milanese.
Le foreste e le paludi erano interrotte da vaste radure, da brughiere nell’alta pianura, da ricchi pascoli, da campi irrigati e coltivati spesso a cereali. Questo alternarsi di forme diversiftcate di vegetazione offriva condizioni ideali di vita per le popolazioni, che certo non avrebbero potuto prosperare se I’ambiente fosse stato costituito solo da foreste difftcili da bonificare con i mezzi di allora.
Virgilio, Polibio e Strabone, raccontano come la pianura padana fosse abitata da antiche popolazioni provenienti da nord (la civiltà protoceltica di Golasecca) e da sud (i Liguri, anch’essi di origine celtica, e gli Etruschi che, mal sopportando il clima rigido della pianura, avevano soprattutto presidi sulle vie di commercio verso le Alpi).
Nel V secolo a.C., dai passi alpini calò una fiumana di tribù provenienti dall’Europa centrale: erano i Celti.
Nella storia delle migrazioni in Italia fu un movimento di genti senza paragoni, superiore anche a quello dei popoli germanici allinizio del Medioevo che cambiò il panorama etnico e linguistico dell’Italia settentrionale.
Le piu importanti città e migliaia di localita della val padana risalgono a quel tempo.
Riesce difficile credere che lo stanziamento possa essere avvenuto nel giro di pochi decenni. Più che di un’invasione si deve parlare di una serie di migrazioni, con l’arrivo a ondate successive di gruppi provenienti da diverse aree dell’Europa centralg etnicamente e culturalmente omogenee anche se divise in innumerevoli tribu: al|’avanzata di nuclei di punta, costituiti da gruppi di guerrieri giovani e intraprendenti, seguiva, nelle zone occupate, I’insediamento stabile dell’intera popolazione in villaggi con economia prevalentemente agricola, non senza mescolanze con gli abitatori.
Così gli Insubri, primi venuti, occuparono la zona tra Ticino Adda e Po, e probabilmente si stanziarono anche nella nostra zona, posta sulla loro direttiva di marcia.
I Cenomani occuparono il territorio tra Adda e Adige, i Salluvi si stanziarono nella regione lungo il Ticino. Successivamente i Boii, provenienti dalla Boemia, che da loro prese il nome, occuparono la zona a sud del Po fondando prima Lodi e quindi Modena e Bologna. I Lingoni, giunti con i Boii, si stanziarono in Romagna, infine i Senoni, nelle Marche sino al Maceratese (dove fondarono Senigallia) e successivamente in Puglia e Sicilia.
I Celti, attirati dalla fertile pianura, si disinteressarono delle zone montuose circostanti, che colonizzarono solo dopo la conquista romana.
Agli Insubri è attribuita la fondazione di Milano che fu il loro centro principale.
L’ambiente naturale sembra poco indicato per la fondazione di una città (clima umido con inverni nebbiosi ed estati afose, nessun rilievo fortificabile presenza di vaste paludi nella fascia sud-occidentale, assenza di grandi fiumi navigabil, ma esso è ampiamente compensato dalla posizione, al centro geometrico della catena alpina, all’incrocio di importanti vie; ma soprattutto la scelta dei siti di fondazione delle città era presso i Celti determinata da criteri religiosi la cui logica spesso ci sfugge.
Non si può comprendere la fondazione di Milano senza avvicinarci alla religiosità dei Celti.
Per comprenderne lo spirito, occorre superare la mentalità moderna e mettersi in contatto con un’altra sensibilità, un altro modo di percepire la realtà e la vita stessa. In questa dimensione tutto è vissuto come manifestazione divina, “espressione visibile dell’invisibile”, e ogni atto materiale ha una sua componente spirituale che gli conferisce un signiftcato piu alto e trascendente.
Nel mondo celtico la materia non è che un modo d’essere dello spirito: dei e uomini vivono a stretto contatto.
In questo contesto il sacro non è una prerogativa esclusiva della classe sacerdotale, rappresentata dal “druido” che vive con gli altri uomini, si occupa di scienza, di legge e di politica e, se necessario combatte.
Lo stesso re celtico esercita il potere come una funzione sacra, con limiti ben precisi ed esercitata con I’assistenza del druido.
L’ipotesi di una fondazione mitica di Milano a causa di una sorta di viaggio sacro, “ver sacra” celtico avente un cinghiale come animale guida, è affascinante e merita ulteriori considerazioni.
Il “víaggio sacro” costituiva un rito collettivo di passaggio, ed infatti era segnato da prove come la spedizione verso terre sconosciute o da guerre: un passaggio da questo mondo verso l’Altro Mondo.
La fondazione di una città doveva avere un motivo eccezionale, un motivo religioso poiché per i Celti l’unità abitativa fondamentale era il villaggio rurale, raramente si costruivano villaggi fortiftcati, gli “oppida” a scopo difensivo.
La principale autorità politica e religiosa della Gallia, rappresentata dai Biturígí (in lingua celtica “Regno del Mondo”J e dal loro re Ambigato manda i giovani nipoti Belloveso e Segoveso a conquistare nuovi territori.
Mentre nulla sappiamo sulla sorte di Segovesq la spedizione di Belloveso si dirige verso I’Italia; mitologicamente essa è paragonabile ad un viaggio nell’Altro Mondo, cioè verso una nuova condizione spirituale.
Come tutte le imprese di questo genere, la spedizione dei giovani Celti comporta il superamento di alcune prove, come il passaggio delle Alpi.
Una leggenda medievale riportata da vari autori, tramanda che una “scrofa semilanuta”, probabilmente un cinghiale, avrebbe segnalato a Belloveso il sito dove doveva sorgere Milano: un rilievo con la scrofa semilanuta è visibile in uno dei pilastri del Palazzo della Ragione (ll Broletto, dove sorgeva un antico bosco).
La presenza della scrofa è importante perché simboleggia il “druido” ed in generale il mondo dello spirito.
Milano fu fondata quindi come luogo sacro posto al centro simbolico del territorio, immagine del Centro del Mondo, punto di congiunzione tra Terra e Cielo, tra le aspettative dell’uomo ed il potere divino in grado dl soddisfarle: “polo spirítuale” da cui tutto parte e tutto fa ritorno.
Prima della conquista dei Romani, che misero a frutto la fertilità della regione, con la grandiosa opera delle “centuríazioni” che razionalizzò il paesaggio, viene raccontato da Polibio come gli Insubrí popolassero una regione feconda in cui pascolava una moltitudine di bestiame e tra questo, un numero sorprendente di maiali che si alimentavano negli immensi boschi di quercie, precisando che gli abitanti vivevano in villaggi aperti, non fortificati. Questi popoli erano quindi fondamentalmente paciftci e dediti all’agricoltura, stabili negli stanziamenti. Essi non abbandonarono i propri villaggi anche dopo l’occupazione romana. Dagli scavi archeologici emergono arnesi per la lavorazione della terra (aratri, rastrelli, ecc.) oltre a numerosi reperti di animali di allevamento (maiali, pecore, capre, ecc.) e monili raffrnati che rivelano la vocazione dei Celti per I’agricoltura, l’allevamento e l’artigianato. Vivevano in abitazioni regolari, costruite con pietre e legno e circondate da un recinto di pietra. Presso ogni abitazione la presenza di una buca circolare fa pensare ad una dispensa per la conservazione del grano.
L’istituzione politica suprema era l’assemblea popolare. Questa decideva sia i rapporti con le altre tribù, come gli affari interni, ad esempio sorteggio o rotazione delle terre in possesso precario tra diverse famiglie.
Con l’intensificazione delle attività agricole e di allevamento, con l’incremento demografico, i personaggi piu autorevoli delle assemble (príncipes) e i capi delle imprese guerresche (duces) tendono ad una prevalenza anche ereditaria. Nel contempo l’introduzione del maggese (riposo del suolo con arature ripetute) implicava un’occupazione continua del suolo.
Con l’accentuarsi della sedentarietà viene salvaguardato il possesso privato stabile dell’appezzamento familiare.
I confini diventano sacri. Gli anziani si riuniscono in un consiglio rappresentativo.
In un successivo sviluppo della stratificazione sociale nascono i contrasti sociali e da allora il re diventa mediatore nei conflitti interni, con diritto ereditario e sacrale.
La Gallia Cisalpina viene descritta come la pianura piu fertile d’Europa, la bellezza e ricchezza non aveva eguali.
Decisivo era il ruolo dei corsi navigabili per le comunicazioni e il commercio, soprattutto tenendo presente le difftcoltà che foreste e paludi rappresentavano per gli spostamenti terrestri, prima della costruzione delle grandi vie consolari romane.
Il Po, navigabile da Torino al mare Adriatico e gli affluenti meno ripidi, furono utllizzati per traffici e commerci anche su lunghe distanze. Nell’area vicino a Milano si utilizzavano soprattutto il Ticino, che attraverso il Verbano si collegava con l’area dell’alto Rero e dell’alto Rodano, e l’Adda, che metteva in comunicazione con la regione alpina dello Spluga attraverso il Lario. Localmente erano importanti anche I’Olona e il Lambro.
Il collegamento con il mare era assicurato dal Po, la cui maestosità aveva colpito a tal punto i primi viaggiatori greci da farlo considerare uno dei piu importanti fiumi del mondo allora conosciuto, oggetto di numerosi miti e leggende.
La cultura celtica è una delle fondamenta su cui è sorta l’Europa: in simbiosi con la natura, uomini, piante e animali vivevano in assoluta armonia.
Lo spirito celtico sopravvisse nella tradizione orale che trasmise di generazione in generazione, lingua e costumi; si tramandò nei villaggí rurali dove ancora al tempo di Carlo Magno si parlava un idioma celtico nelle case contadine, durante i lunghi inverni dove si mantenne vivo l’antico calore conviviale.
Quando la tradizione celtica si mescolò al Cristianesimo, si conservarono alcune simbologie religiose: il vischio, come simbolo augurale di buon auspicio per il nuovo anno; le festività legate aI cambio delle stagioni; la ricorrenza dei defunti che coincide con il capodanno celtico (31 ottobre) e si conclude con la festa di chiusura dell’anno agricolo (san Martino).
La fantasia fiabesca dei Celti rivive anche nell’arte con le decorazioni rabescate che hanno carafferizzato lo stile lombardo; rivive l’emozione della nostra gente per la magia che comunicano le nostre pianure nebbiose le rogge che solcano la campagna, i luoghi che trasmettono mistero come le fttte boscaglie e gli antichi manieri.
Riemerge spesso la loro schietta allegria nei festosi e rumorosi conviti.
Il Medioevo e le saghe cavalleresche sono la naturale prosecuzione dei loro ideali, ma ancor oggi sopravvive tra la gente più sensibile il loro spirito contemplativo ed il rispetto verso la natura.
Anche il nostro territorio è figlio di questi antichi padri.
Massimo de Rigo
Linterno 4 marzo 2000