Hotel dei Cavalieri, 21 novembre 2000
Conferenza sulle radici storiche di Milano
organizzata dall’Associazione culturale “Antica Credenza di Sant’Ambrogio”
I cavalieri Templari a Milano.
Storia, leggenda e tragedia dei monaci guerrieri.
Relatore: Massimo de Rigo – Associazione “Amici Cascina Linterno”
Gli albori del XIV secolo videro una delle più grandi tragedie della storia della Chiesa, il processo contro i Templari. Il loro ordine, che fino a quel momento godeva di grande reputazione e possedeva grandi ricchezze, venne accusato d’una serie di crimini dal re di Francia Filippo IV il Bello e dai suoi ministri.
Venerdi 13 ottobre 1307 (e d’allora si disse il nefasto “venerdì tredici”) il re, avvalendosi di tribunali ecclesiastici manovrati dallo Stato, fece arrestare più di mille cavalieri, ne fece torturare molti, molti li mandò al rogo.
Le accuse erano di cospirazione, sacrilegio, pratiche sataniche e sodomitiche; Il papa francese Clemente V, dalla sua sede di Avignone, in un primo tempo s’oppose ad un simile atto che si faceva beffe d’ogni diritto. Ma alla fine cedette, e soppresse l’ordine; centinaia di Templari furono torturati e sterminati con la complicità della santa Inquisizione.
Nello stesso novembre Clemente V emanò il decreto fatale che ordinava a tutti i Principi della cristianità di incarcerare i Templari e a consegnare la totalità dei loro beni alla Chiesa. Il papa motivò questo suo intervento col grave sospetto d’eresia causato dalle confessioni rese dal ramo francese dell’Ordine.
Le accuse rivolte ai Templari erano false, le loro confessioni estorte con la tortura e prive quindi d’ogni valore. I cavalieri non erano certo peggiori d’altri membri di ordini di quel tempo. Soltanto, Filippo IV aveva bisogno del loro danaro, delle loro vaste proprietà terriere, delle loro fortezze; e così il suo ministro Nogaret escogitò le calunnie sulla colpevolezza dell’Ordine per poterlo annientare. Filippo IV e Nogaret avevano esperienza: con gli stessi sistemi avevano abbattuto papa Bonifacio VIII. Nel resto dell’Europa le condanne furono limitate; soltanto in Italia l’Inquisizione infuriò con crudeltà analoghe a quelle commesse in Francia. I cugini di re Filippo, gli Angiò, appoggiarono le tesi di Parigi, e così pure i rappresentanti pontifici nello Stato della Chiesa.
Solo l’arcivescovo di Ravenna, il giurista milanese Rinaldo da Concorrezzo, poi beatificato, ebbe il coraggio di ergersi pubblicamente a difesa dei Templari.
La responsabilità di questo, che fu forse il maggior assassinio giudiziario del medioevo, spetta soprattutto al re di Francia.
Ma anche il papa si macchiò di questa colpa: si lasciò ricattare, divenendo anch’egli persecutore dell’Ordine che in realtà avrebbe dovuto difendere.
Oggi gli storici accusano papa Clemente V e l’Inquisizione d’aver sacrificato un Ordine glorioso e innocente all’avidità d’un re.
I Templari erano innocenti; restarono fedeli persino a una Chiesa che li perseguitava. Si ostinarono a difendere il loro Ordine malgrado le torture e i roghi. Se avessero voluto, avrebbero potuto aver salva la vita con le menzogne, accettare compromessi. Si rivelarono cristiani migliori, più puri degli ecclesiastici che si piegarono alla violenza del re.
Nessuno dei loro persecutori ebbe il tempo di rallegrarsi: il papa, il re e il principale accusatore moriranno entro pochi mesi dal rogo dell’ultimo Templare…
Ma torniamo alle origini, duecento anni prima.
Gerusalemme. Correva l’anno 1099. Si era appena conclusa la Prima Crociata, quel pellegrinaggio armato, voluto da papa Urbano II, che evidenziò il conflitto tra due diverse culture: quella cristiana e quella musulmana.
La città era quasi deserta: la sua popolazione, un tempo ricca e numerosa, era stata in gran parte massacrata, prima dall’esercito mussulmano in fuga, poi dalle scorrerie che anche i Crociati fecero. I territori attorno alla città erano insicuri, pieni di soldati sbandati alla macchia e di predoni saraceni che derubavano ed uccidevano i pellegrini provenienti dall’Europa e diretti ai Luoghi Sacri. La guarnigione militare crociata di Gerusalemme era molto ridotta, in quanto cavalieri e milizie, assolto il voto di liberare il Santo Sepolcro, erano ritornati nei rispettivi Paesi di origine.
I regni cristiani formatisi dopo la conquista della Città Santa, cioè il Regno di Gerusalemme, la Contea di Edessa, il Principato di Antiochia e la Contea di Tripoli, più che fondarsi sulla loro reale potenza militare, si reggevano sulla discordia delle varie tribù dell’Islam. Intanto, i pellegrini sulle strade polverose che conducevano a Gerusalemme, continuavano a morire vittime delle aggressioni.
A quanto narrano le cronache, un gruppo di nove cavalieri francesi con il loro seguito, capitanati da un certo Hugues di Payns, conte della Champagne, si presentò al Re di Gerusalemme, Baldovino II, mettendosi subito a disposizione per la protezione dei pellegrini ed il pattugliamento delle strade. Questi cavalieri, a differenza di tanti altri, non si presentarono al re vestiti in modo sfarzoso, con mantelli multicolori e cavalli addobbati, ma erano coperti da un semplice mantello bianco senza nessun altro fregio o armatura luccicante.
Hugues di Payns sostenne, davanti al re, che non erano le vesti a rendere leali e coraggiosi i cavalieri, ma il cuore..
Era il 1118 e il re Baldovino di Gerusalemme concesse fin dall’inizio privilegi e sovvenzioni; anche il Papa Onorio II, vinta un’iniziale diffidenza verso questi monaci guerrieri (in quanto dediti alla contemplazione così come alle armi), diede il suo benestare: riconobbe formalmente l’Ordine, e da quel momento i “Poveri cavalieri di Cristo” ricevettero donazioni in denaro e in terre da ogni parte d’Europa. Stabilito il loro quartier generale a Gerusalemme, nella Moschea di El-Aqsa, sulla Spianata del Tempio di Salomone (da cui deriva il loro nome), i Templari crebbero in numero e potere, giungendo a farsi carico della difesa dei regni latini d’Oriente.
La creazione di questo Ordine militare su base monastica si rese necessario soprattutto per il disordine morale dimostrato dai cavalieri nella prima crociata: in pratica dei monaci-cavalieri addestrati alla guerra, destinati alla stabile difesa dei luoghi santi e di quanti vi abitavano. Oltre all’Ordine dei Templari, si aggiunsero, trasformandosi in organismo militare, quello già esistente degli Ospitalieri (divenuto poi dei “Giovanniti” e quindi “di Malta”) e infine quello dei Teutonici di lingua tedesca.
Ricevono da Stefano, Patriarca di Gerusalemme, la veste bianca con una doppia croce patriarcale. Nel 1148 ottengono da papa Eugenio III le regole di base benedettina e l’abito definitivo: manto bianco con la “croce patente” rossa, con bracci triangolari aperti in fuori.
Il primo Ordine di Monaci Cavalieri diventa in breve tempo un modello militare e spirituale per tutto l’Occidente. Le loro imprese esaltano l’Europa dove, nelle piazze e nei mercati, la gente si accalca attorno ai cantastorie per ascoltare le loro geste eroiche in battaglia.
Centinaia di giovani cavalieri, figli cadetti delle famiglie nobili, chiedono di farne parte. Pur essendo laici, fanno voto di castità, obbedienza e povertà. Uniscono alla disciplina austera del chiostro un fanatismo militare.
Sono obbligati a portare mantelli ed abiti bianchi, a tagliarsi i capelli, ma non la barba. Suddivisi in cavalieri, cappellani, sergenti e artigiani, ogni capitaneria, chiamata commenda, è un organismo indipendente con a capo il commendatario che risponde ad un Gran Maestro.
Non devono obbedienza a nessun potere, eccetto il Papa.
Commende Templari sorgono in ogni angolo d’Europa: alla fine della loro epopea saranno 9.000. Da ogni parte del mondo cristiano affluiscono donazioni, beni e terre. I Templari diventano l’organizzazione più potente dell’Occidente. In Oriente si coprono di gloria, pagando un pesante tributo di sangue e addossandosi i ruoli più pericolosi. Basti ricordare che su 23 Gran Maestri che ebbe l’Ordine, ben 13 morirono con la spada in pugno.
Andando a ritroso nel tempo, l’idea base dei Templari nasce nello Champagne, per merito del conte Ugo di Champagne, grande feudatario, più potente dello stesso re. In questa regione si svolsero gli atti e le consacrazioni; qui agirono i personaggi che costituirono la genesi dell’Ordine Templare.
Ugo di Champagne compì alcuni viaggi in Terrasanta, in compagnia di Ugo de Payns. Quindi sottopose segretamente i preziosi documenti riportati – presso il monastero di Citeaux e sotto la guida dell’abate Stefano Harding – a dotti arabi, rabbini e cabalisti.
Scelse la placenta templare dell’Ordine nel posto più inaccessibile dello Champagne, che prese il nome di Foresta d’Oriente; un luogo che risuonerà ad ogni angolo di riferimenti templari, il luogo, nel quale Bernardo fonderà l’Abbazia dei Cistercensi riformati di Clairvaux (Chiaravalle).
Dunque, l’Abbazia di Clairvaux fu la vera placenta templare, ed è importante osservare che il termine Clairvaux ha un profondo significato nel percorso conoscitivo della Sapienza, rappresenta il luogo di Luce, dove si riceve la Luce della Conoscenza.
Non a caso Bernardo di Fontaines scelse questo nome che poi verrà dato a numerose località – anche a Milano – con lo scopo evidente di significare un luogo del Sapere.
Mentre i nove cavalieri sono in Terrasanta, Bernardo di Chiaravalle non si limita a scegliere il luogo dove appoggiare la base templare ma ne suggerisce le Regole – attentissime e precise – e prepara la sua consacrazione ad Ordine religioso presso il suo amico ed ex confratello papa Eugenio III.
Bernardo non era nuovo a tali compiti. Quando nel 1212, abbandonata la condizione di cavaliere, era entrato nell’abbazia di Citeaux con da altri trenta paladini, ne aveva riscritto le regole e aveva fondato l’Ordine dei cistercensi “riformati”. Questa “Regola Primitiva” fu allegata alle minute dei verbali del Concilio di Troyes, che Bernardo preparò con molta cura ed attenzione nel 1128, facendo in modo che vi partecipassero i porporati francesi che rappresentavano la Chiesa in quel momento e, perché nulla ne turbasse l’atmosfera, lui stesso non vi prese parte. La regia fu, comunque, tutta sua.
Al contrario di Harding e de Payns che, col tempo, si affievoliscono e scompaiono, Bernardo di Chiaravalle rimarrà sempre il faro della storia templare.
Perché tutti costoro si dettero così tanto da fare?
Perché Ugo di Champagne ebbe questo continuo assillo?
Perché i Templari sovrastarono gli altri Ordini?
Cosa nascondevano quei documenti alla cui traduzione e interpretazione vennero chiamati studiosi di altre religioni?
Forse narravano di qualche cosa che giaceva in Terrasanta?
Se affermassimo che le leggi della fisica sono regolate da relazioni numeriche, da rapporti numerici e funzioni numeriche, diremmo una cosa ovvia, visto che persino Dio, nella Genesi, afferma:
“Io ho fatto il mondo con Misura, Numero e Peso”
A quell’epoca non si parlava di fisica. Possiamo dire, però, che questi rapporti di numeri, in altre parole “formule” erano note ai saggi d’ogni tempo, già in epoche antichissime.
Un’ipotesi suffragata da molte testimonianze misteriose come le piramidi egizie, i dolmen degli antichi Celti, i giganti dell’isola di Pasqua, le conoscenze orientali, le civiltà precolombiane che sono tuttora prive di risposta dalla scienza di cui disponiamo.
I primi nove cavalieri templari hanno dunque il loro primo quartier generale sull’area della Moschea di El-Aqsa, la spianata del Tempio di Salomone, dalla quale appunto prendono il nome. Formalmente i Templari hanno compiti di polizia, cioè la difesa dei pellegrini.
Ma si ha ragione di credere che non fosse questo il vero scopo della loro missione. A detta di molti, ne esiste un altro occulto e ancor più affascinante.
Fin dall’inizio i Templari avrebbero costituito un ordine di carattere iniziatico; il loro obiettivo – voluto da Bernardo di Chiaravalle – era quello di recuperare qualcosa che era nascosto in Terra Santa.
Che cosa? A seconda di alcuni esperti, nei sotterranei del Tempio di Gerusalemme essi avrebbero rinvenuto l’Arca dell’Alleanza, i segreti costruttivi che permisero di edificare le cattedrali gotiche; non solo, altri studiosi affermerebbero (e qui è doveroso il condizionale) anche certe carte segrete che indicavano la rotta per le Americhe. È interessante notare che le tre caravelle di Cristoforo Colombo avevano in evidenza, sulle vele, la croce templare. Il navigatore genovese aveva sposato la figlia di un Gran Maestro dell’Ordine di Calatrava: l’unico Ordine a potersi considerare diretto prosecutore di quello dei Cavalieri del Tempio.
Da recenti studi emerge che i Templari rimasero a lungo a scavare tra le rovine del Tempio di Salomone. Un team di archeologi israeliani ha recentemente cercato di svelare il mistero di questa ricerca templare ma, arrivati a scavare fin sotto la collina del Tempio, dovettero interrompere i loro scavi poiché gli stessi ricadevano nella zona a giurisdizione musulmana e le competenti autorità non concessero altri permessi. Anche l’ufficiale inglese Charles Wilson disseppellì, sotto il Tempio, una serie di oggetti di chiara origine templare.
Forse San Bernardo ispirò i nove Templari originari ad abbandonare i loro possedimenti mondani per andare alla ricerca dei segreti che egli riteneva giacessero sepolti nel “Sancta Sanctorum”, ossia il “santo dei santi”, la stanza segreta sotto le rovine del Tempio di Salomone a Gerusalemme.
Di fatto i nove trascorsero quasi dieci anni in Terrasanta, facendo ritorno in Francia nel 1128 altrettanto misteriosamente così come ne erano partiti. L’architettura gotica cominciò a fiorire proprio in quell’epoca, ma nessuno sa dove e come venne gettato il primo seme di quello stile.
Una strana coincidenza o furono i Templari a scoprire la chiave di conoscenze arcane?
La genialità delle soluzioni adottate rispetto alle conoscenze e degli strumenti scientifici disponibili è, a tutt’oggi, motivo di stupore e ammirazione: nella cattedrale gotica l’adozione dell’arco a sesto acuto in sostituzione di quello a tutto sesto del romanico; il sistema degli archi rampanti in sostituzione dei contrafforti sono soluzioni ancor oggi sorprendenti.
Il trionfo della dimensione verticale, nel linguaggio del mito, indica l’ascesa del credente dalla dimora terrena al Regno dei Cieli – così come verticali sono le piramidi e gli obelischi d’Egitto, le ziggurat dei Sumeri (matrice di tutte le civiltà), i monoliti dei Celti, i minareti degli Arabi.
Gli ecclesiastici, esclusivi letterati all’interno dell’Ordine, erano in grado di leggere e scrivere lingue arcaiche ed erano rinomati per l’abilità di decodificare messaggi cifrati. Se le ricchezze accumulate dai Templari furono la causa della loro persecuzione, vi è una reale possibilità che il contenuto dei documenti rinvenuti sotto il Tempio abbia favorito la diffusione di insolite pratiche rituali tra gli affiliati che, quando non servirono più in Terrasanta, li rese sospetti di stregoneria.
Nella città di Gerusalemme furono quattro i Templi associati al monte Moriah. II primo fu quello fatto erigere da re Salomone tremila anni or sono. Il secondo, comparso in sogno al profeta Ezechiele durante l’esilio degli ebrei a Babilonia nell’anno 570 a.C. circa, non fu mai realizzato, ma è importante per il forte influsso sulle credenze ebraiche, incorporate nella tradizione cristiana. Il terzo edificio fu costruito per volere di re Zorobabele all’inizio del VI secolo a.C., allorché gli ebrei si liberarono dalla prigionia babilonese. Il quarto e ultimo tempio, fatto erigere da Erode ai tempi di Gesù, fu distrutto dai soldati romani nel 70 d.C., soltanto quattro anni dopo la conclusione dei lavori.
Secondo alcune leggende il profeta Enoch, saputo del Diluvio imminente, costruì con l’aiuto del figlio Matusalemme nove stanze sotterranee, una sopra l’altra. Nella più profonda pose una tavoletta triangolare che recava il nome di Jahvè, il Dio degli ebrei. Secondo le sacre scritture Enoch si ritirò proprio sul monte Moriah, tradizionalmente identificato con il monte del Tempio di Gerusalemme. Le stanze vennero poi murate e sul posto Enoch fece edificare due colonne: una di marmo e l’altra di mattoni. Su quest’ultima erano incise le “sette scienze” dell’umanità, mentre su quella di marmo un’iscrizione diceva che “a breve distanza, in un locale sotterraneo, si trovava un preziosissimo tesoro”: forse i manoscritti che racchiudevano le arcaiche tradizioni dell’antico Egitto e del Giudaismo.
Il simbolo della doppia colonna risale alla civiltà dei Sumeri: la colonna di destra “Zedec” rappresenta il pilastro sacerdotale, quella di sinistra “Boaz” simboleggia il pilastro regale; le due colonne sono sormontate da un’architrave che simboleggia il Regno di Jahvè, ossia l’ordine morale di governo sostenuto dalle colonne sacerdotale e regale.
Ritroviamo il simbolo della doppia colonna nell’Egitto dei faraoni ed anche nei chiostri cistercensi.
Anche a Milano, il chiostro dell’abbazia di Chiaravalle è costituito da una fila di doppie colonne…
Una misteriosa doppia colonna, come vedremo, esiste anche a Cascina Linterno.
Uomini per tutte le stagioni: presto i Templari vanno oltre la missione di protezione dei pellegrini e partecipano ai combattimenti per la difesa degli Stati latini.
L’Ordine dei Tempio è la prima istituzione in Terrasanta che fa la guerra “a tempo pieno”. La sua regola contiene nella seconda parte i “Retraits” (Capoversi), indicazioni precise che ne fanno un vero e proprio regolamento militare.
Innanzi tutto solidaríetà tra cavalieri e combattenti a piedi, in particolare durante gli scontri lungo la via; non si rileva mai in Oriente il disprezzo della cavalleria per i fanti, come in Occidente. Inoltre, lo sviluppo della cavalleria leggera dei “turcopoli” è segno di una comprensione e di un adattamento alla tattica dell’avversario, basata su ripetuti attacchi e fughe simulate. L’Ordine ha infine sviluppato valori propriamente militari che si possono definire moderni: la regola promuove valori collettivi in un mondo cavalleresco imperniato sull’individualismo. Fa riferimenti precisi alla disciplina da osservare in convento, sul campo di battaglia, durante gli spostamenti. Sviluppa un’ideologia del coraggio, dello spirito di sacrificio, del senso dei dovere, dell’orgoglio della bandiera.
La battaglia è un coinvolgimento totale: si vince o si perde tutto, poiché è un giudizio di Dio. Lo spirito della guerra santa, il disprezzo della morte e la fiducia nel giudizio di Dio spiegano l’audacia dei monaci-cavalieri in Oriente.
I Templari, spesso inferiori di numero, dispongono, con la cavalleria, di un’immensa forza d’urto nei confronti dei loro avversari musulmani, a condizione di utilizzarla al momento giusto e su un terreno favorevole. Doti indispensabili sono astuzia e disciplina. L’Ordine del Tempio è in grado di mobilitare in Oriente un corpo di cinquecento cavalieri. Ben protetto da una cotta di maglia, da un’armatura e dallo scudo, abile nel maneggiare scure, lancia e spada, con a disposizione numerosi cavalli, tra cui uno robusto da guerra, il cavaliere del Tempio, assistito da scudieri, combatte in uno squadrone chiamato “échelle”, al comando del Maresciallo dell’Ordine. La violenza dell’impatto, a cuneo, di questa cavalleria pesante è paragonabile a quella dei moderni “panzer”. Gli viene fornito, prima del combattimento, un cavallo di grande corporatura, corazzato e soprattutto fresco. Al momento giusto, quando è lanciata la carica, i sergenti, armati in modo più leggero, gli prestano manforte. In battaglia, i Templari sono tutt’uno con l’armata dei re, spesso rinforzata dall’apporto dei crociati. Ma il loro principale compito è di proteggere e questo appare chiaro con la scorta dei pellegrini che si recano al Giordano, attraverso un corpo speciale di dieci cavalieri o dalla guardia in ordine sparso, quando l’armata fa sosta per rifornirsi. Nei combattimenti durante i trasferimenti, come accade nel corso della terza crociata sotto il comando di Riccardo Cuor di Leone, i Templari e gli Ospitalieri hanno la responsabilità di assicurare l’avanguardia e la retroguardia.
La difesa degli Stati latini non si limita alle frontiere. Nel XII secolo i Franchi hanno potuto compensare la loro inferiorità numerica con una strategia di movimento che si a poggiava a una fitta rete di fortificazioni. Non sarà più così nel secolo successivo quando i latini sono raccolti sulla difensiva e devono ripararsi in enormi fortezze, di cui il Krak dei Cavalieri fornisce ancor oggi un’imponente testimonianza. Solo gli Ordini militari hanno i mezzi per proteggere e sorvegliare queste fortezze. Nel regno di Gerusalemme i Templari hanno punteggiato di castelli le strade percorse dai pellegrini: da Acri a Giaffa lungo la costa, da Giaffa a Gerusalemme, e poi da Gerusalemme al Giordano, si trovano fortezze o semplici torri. Lungo la breve distanza che separa Gerusalemme dal Giordano, sono state identificate quattro fortificazioni dei Templari. Nel nord della contea di Tripoli costruiscono il possente castello di Safed, con cui controllano, assieme al Krak dei Cavalieri Ospitalieri, le strade e le terre coltivate di un vasto territorio e della sua popolazione contadina musulmana, al confine di una zona che appartiene alla potente setta sciita degli Assassini del Vecchio della Montagna, costituita da monaci-cavalieri originari di Siria e Persia. La loro gerarchia è simile a quella templare: Gran Maestro, Maresciallo, Commandatario, Gonfaloniere.
Il motto dei Templari era “non nobis, domine, non nobis sed nomine tuo da gloriam” (non a noi, Signore, non a noi ma al tuo nome dà gloria). Il loro emblema la croce patente rossa, simbolo dell’estremo sacrificio per difendere il Cristianesimo, che li differenziava dalla croce bianca degli Ospitalieri, da quella nera dei Teutonici e da quella verde di San Lazzaro.
Per le affinità con i monaci cistercensi furono definiti “la milizia armata di San Bernardo”. Ne portavano gli stessi colori: il nero, simbolo della terra e il bianco, quello del cielo. In Occidente furono grandi civilizzatori: costruirono hospitalia (cioè ostelli per i pellegrini), chiese e villaggi, ponti e strade, mulini.
La necessità di inviare ingenti risorse in Terrasanta li costrinse all’uso delle tecnologie più avanzate. Conoscevano la coltivazione intensiva a “marcita”, che rendeva fertili anche le terre più povere. Una fitta rete di dimore templari ricopriva tutta l’Europa. In Italia erano chiamate “precettorie”, “grangie” o “mansioni” a seconda della loro importanza. Spesso erano solo case fortificate al centro di un borgo rurale. Il reclutamento era locale; per i più poveri la dipendenza dall’Ordine era una garanzia: lavorare per il Tempio significava essere svincolati da qualsiasi altra autorità e la sicurezza di una serena vecchiaia, poiché i Templari rispondevano solo al Papa ed erano esenti da vincoli con la nobiltà e altre gerarchie ecclesiastiche.
Erano amministratori attenti, preoccupati di trarre dai beni gestiti il maggior profitto, molto flessibili e portati all’innovazione. Il ricavato della vendita dei loro prodotti veniva direttamente inviato in Oriente, utilizzato per nuovi reclutamenti o usato per l’acquisto di armi e di cavalli. Le “precettorie” erano complessi fortificati autosufficienti, comprendenti il convento, con mura e torre di vedetta, la cappella, la foresteria, la scuderia e il cimitero.
I Templari arrivano a Milano, nel maggio 1135, al seguito del grande Bernardo di Clairvaux, immediatamente dopo il concilio di Pisa.
La città si era schierata con l’antipapa Anacleto II e l’imperatore Corrado III, contro il legittimo papa Innocenzo II e l’imperatore Lotario III. Ma i milanesi erano esausti per questa durissima lotta. Giunse a Milano Bernardo con i suoi monaci-cavalieri bianchi: una scorta armata e di provata fedeltà se gli eventi lo avessero richiesto. La loro presenza austera e risoluta influenzò, senza dubbio, la folla convenuta assieme ai prelati, per il giudizio nei confronti del vescovo ribelle Anselmo che fu costretto ad allontanarsi. Bernardo ebbe la possibilità di parlare liberamente e riuscì a infiammare gli animi dei convenuti a favore della Chiesa di Roma e del suo legittimo Papa. La sua azione proseguì con la fondazione di Chiaravalle e con l’insediamento della Militia Templi presso il Brolo, un mitico bosco posto fuori Porta Romana e poco distante dalla Basilica di San Nazaro. E’ interessante l’abbinamento tra il Brolo e la Foresta d’Oriente, nello Champagne, dove sorse l’Abbazia di Clairvaux, la prima culla dell’Ordine: entrambi erano boschi sacri all’epoca degli antichi Celti. All’inizio fu una semplice e modesta casa, successivamente si trasformò in una Mansione, una vera e propria Commanderia Militare, comprendente la cappella, chiamata Santa Maria del Tempio. Posta tra le attuali vie Santa Barnaba e Commenda (che ricorda, appunto, quella templare), si collocava fuori dalle mura tra Porta Romana e Porta Tosa, tra le vie d’accesso alla città, immersa nella campagna e in grado di schierare con rapidità la Cavalleria in un ampio raggio d’azione.
Attorno a Milano, l’Ordine del Tempio aveva inoltre terre coltivate, boschi, cascine, botteghe, officine, mulini e mandrie.
Teneva mercati e fiere, in giorni o festività fisse, che richiamavano grandi folle.
Come afferma lo storico Alessandro Colombo, il primo documento milanese che fa cenno dei Cavalieri del Tempio è una pergamena del 9 aprile 1142, in cui si legge che Ugo e Guglielmo “Giringelli” donano all’Abbazia di Chiaravalle, sita “in loco roveniano” un campo nella località di Vicomaggiore. L’atto fu rogato “in curte de Templo”. Dalla lettura di un altro documento del 1149, si rileva che il precettore templare Bonifacio, in seguito divenuto Maestro d’Italia, e i frati della mansione milanese, concedono a livello perpetuo al diacono della Chiesa di Milano, le terre che il confratello deceduto fra’ Dalmazio “de Verzario”, aveva lasciato alla “domus Templi” ambrosiana.
Il conte Giulini – uno dei massimi storici della Milano medievale – riporta il testamento di un cavaliere templare milanese: Alberico, di legge longobarda, della famiglia “de Ferrariis” che, prima di partire verso la Terrasanta, lascia in eredità i suoi beni ad alcuni “hospitalia” e chiese di Porta Vercellina.
Durante l’epopea delle Crociate compare ripetutamente a Milano l’imperatore Federico Barbarossa di Svevia, il protagonista di due Crociate, che trovò un grosso ostacolo al suo obiettivo di identificare la Cristianità nel Sacrum Romanum Imperium: Milano e la sua grande voglia di indipendenza. Fu costretto, infatti, a scendere ripetutamente in campo per riaffermare l’autorità imperiale. Spesso troviamo Barbarossa abbinato ai Cavalieri del Tempio, come dai documenti dell’epoca. Secondo gli storici milanesi Sire Raul e Ottone Morena, Federico Barbarossa, quando discese a Milano con il suo esercito nel 1158 per punirla di aver distrutto Lodi, città a lui fedele, dimorò nella mansione del Tempio, allorché cinse d’assedio la città che poi capitolò per fame. Sire Raul scrive che il Barbarossa fu ospitato negli appartamenti superiori della mansione del Tempio. Un’altra volta dimorò, nel 1162, “…presso la Chiesa di Ognissanti, che è la chiesa del Tempio…” quando decise di radere al suolo la città dopo l’ennesima ribellione. L’ubicazione della Chiesa templare di Ognissanti non è accertata, ma la vicinanza della precettoria di Santa Maria del Tempio con la Basilica di San Nazaro Maggiore in Brolio (in corso di Porta Romana) dedicata a tutti gli apostoli e la presenza qui di tombe con “croci patenti” può far ritenere che le due chiese fossero in stretta relazione.
Altre mansioni templari extraurbane vengono dislocate lungo le principali vie di pellegrinaggio e di accesso alla città. Ricordiamo Castel Negrino (a nord, sulla via Regina, che veniva percorsa dagli eserciti imperiali), Zunico (a sud, lungo il “Senterium mediolanensis” verso Piacenza) e Rovagnasco (a est, sulla Palmaria, verso Costantinopoli). A Borghetto sul Lambro esiste ancora una grande cascina, la “Cà di Frà”, che corrisponde all’antica Commenda templare detta “d’Inverno”.
La documentazioni ad ovest, verso la via Francigena, è frammentaria, ma con pazienza si è cercato di radunare gli indizi della presenza templare a Milano su questo importante percorso che collegava Milano e la Lombardia con la Francia e il centro Europa.
Non dimentichiamo che dopo la soppressione dell’Ordine del Tempio, fu comandato agli scalpellini di eliminarne simboli, croci patenti e qualsiasi altra testimonianza.
All’incrocio di due antichi percorsi (un tratto della “Francigena” corrispondente alla via Novara ed un percorso alternativo della “ Regina” che attraversava la Pieve di Trenno) troviamo il vecchio borgo di Quarto Cagnino dove una colonna sormontata da una croce ci ricorda che anche in quel luogo esisteva un lazzaretto, forse precedente a quello della grande peste, probabilmente risalente all’Ordine di San Lazzaro, che raggruppava i cavalieri colpiti dalla lebbra in Oriente. Essi indossavano un mantello bianco con la croce verde e si dedicavano alla cura di chi era affetto dal terribile male. In genere, vicino agli insediamenti templari fuori città c’era anche il lazzaretto, al quale i monaci-combattenti davano sostentamento materiale, come nei pressi della principale Precettoria templare, Santa Maria del Tempio in Brolo dove esisteva un lazzaretto che divenne poi nei secoli l’Ospedale Maggiore.
Le precettorie, le “grangie” e gli “hospitalia” dei Templari erano decorate da simboli inconfondibili: inizialmente la “doppia croce patriarcale” e quindi, dopo la metà del XII secolo, la “croce patente” con bracci triangolari aperti in fuori.
Sull’antica via dei pellegrini, un tempo costeggiata da fontanili, che corrisponde oggi alla via Fratelli Zoia, troviamo Cascina Linterno, l’antica “Infernum” del XII secolo. In questo luogo la presenza dei Templari è molto probabile: un monumento citato dalle pergamene della Canonica, l’hospitale di San Giacomo al Restocano da cui dipendeva la Cascina, è elemento unificatore con i “cavalieri del Tempio”. Un testamento del 6 giugno 1152 lo accomuna nei lasciti, infatti, ad altri due monumenti di monaci-cavalieri: la precettoria di Santa Maria del Tempio e l’hospitale di Santa Croce. La Cascina ha nel suo territorio due antichissime “marcite” ancora funzionanti; al suo interno l’edificio più antico, da cui s’intravedono arcate romaniche, è sostenuto da due colonne con capitelli a testa di cavallo su cui sono incise “doppie croci patriarcali” con fregi successivi. L’origine di queste colonne è sconosciuta, ma riaffiora l’antico simbolo dei Sumeri, dei faraoni, degli Ebrei che Cistercensi e Templari ripresero: simbolo dell’armonia che è sostenuta dal potere temporale e quello spirituale. Altre due colonne con lo stesso tipo di capitello ma senza monogramma, sono state ritrovate recentemente, nel vicinissimo borgo di Quarto Cagnino. Quasi certamente, le due colonne di Cascina Linterno identificano la presenza di una “grangia templare” (dal francese “grange”), cioè un complesso di edifici e terreni tenuti da una comunità di Frati Templari. Anche il bassorilievo raffigurante una croce “templare” nella volta del portone d’ingresso dell’adiacente Cascina Barocco fa supporre che le cascine Linterno e Barocco costituissero quindi un’unica “grangia”, con due livelli gerarchici paralleli: quello militare, in difesa dei pellegrini, costituito principalmente da cadetti e borghesi, e quello conventuale il cui vertice era rappresentato dall’Abate; il sorvegliante dei lavori agricoli era rappresentato dal monaco grangiere.
Si può osservare il complesso fortificato della grangia di Infernum/Linterno con torre di guardia in una tavoletta attribuita a Petrarca, residente nella Cascina durante il periodo milanese (dal 1353 al 1361) allorché fu ospite dei Visconti.
Fino a pochi anni fa, a Cascina Linterno si tramandava a ferragosto, da tempi remoti, la Festa di Santa Maria Assunta a cui è dedicata la chiesetta. Il titolo maggiormente attribuito alle case e chiese del Tempio era Santa Maria per l’amore e la devozione particolare che essi le tributavano e la Festa dell’Assuzione della Beata Maria del 15 agosto era una delle festività più sentite dall’Ordine del Tempio.
San Bernardo, definito da un contemporaneo “intimo alunno della nostra Signora” si prodigò per il culto della Vergine, cui dedicò innumerevoli fondazioni.
Si racconta che in gioventù il Santo stesse pregando inginocchiato davanti alla statua di una Madonna nera, quando dal seno della Vergine caddero tre gocce di latte sulle labbra del futuro fondatore dei Templari. Mentre predicava, ricorreva al termine: “NOTRE DAME” per definire la Santa Vergine, in seguito lo stesso termine fu usato anche nel linguaggio Templare. Bernardo si differenziò dalla Chiesa nella trattazione di alcuni dogmi riguardanti la Madonna: rischiando l’eresia cui la Chiesa non osò mai condannarlo, rifiutò di riconoscere la Vergine come “Immacolata Concezione” ma la intese come la “Grande Madre Generatrice” un’espressione che potrebbe ricollegarsi al culto della “Madre terra” il simbolo universale della fecondità, uno degli antichi “miti” da cui rimasero affascinati i cavalieri dell’Ordine Templare. Sensibili al richiamo di ogni dottrina esoterica, influenzati dalle scienze e dalle religioni Orientali, svilupparono così una propria liturgia mistico-esoterica legata alla “Madonna nera”, la cui origine potrebbe risalire ai primi cristiani. La Santa Vergine veniva rappresentata riutilizzando simulacri di divinità femminili delle antiche religioni pagane, ad esempio, le nere statue in ebano dedicate a Iside, il cui culto era largamente diffuso nel mondo antico. Anche il volto di Gesù venne copiato dalla Sacra Sindone, (allora conservata a Edessa) e le sacre riproduzioni si diffusero in tutto il mondo cristiano dell’epoca. Si deve ricordare che la Chiesa Ortodossa proibiva di inventare immagini religiose; si poteva solo ritrarle da copie derivate dall’originale. Nella Chiesa cristiana orientale questo particolare modo di rappresentare le figure religiose è chiamato “icona” (immagine).
Tornando sulle tracce dei Templari, ad ovest di Milano è stata recentemente scoperta, nella chiesa di San Giovanni Battista a Cesano (l’antica Capo Pieve di Cascina Linterno) una tomba del XII secolo con le pareti dipinte con “croci patenti rosse”. La tomba è stata rinvenuta già violata ma il riferimento immediato va ad un personaggio molto importante collegato ai Templari. Tombe analoghe si trovano solo nel Duomo di Monza e nella già citata Basilica di San Nazaro Maggiore in Brolio, adiacente alla precettoria templare di Santa Maria del Tempio in Brolo.
La fine. Nel 1291 cade l’ultimo baluardo cristiano in Terrasanta. Ad Acri i cavalieri del Tempio provocano il crollo della torre dove erano asserragliati al termine di un durissimo assedio e rimangono sepolti assieme agli assalitori.
Dopo due secoli si conclude l’avventura in Terrasanta. Divengono i banchieri dell’Occidente prestando ingenti somme alle corti d’Europa.
Inventano la “lettera di credito” che permette a mercanti e pellegrini di viaggiare senza portare con sè grosse somme di denaro.
Poi la tragedia: in occidente sono uno Stato nello Stato, molto ricchi e scomodi.
Il blitz finale, l’inquisizione, le torture. L’accusa di eresia li porta diritti al rogo.
Il 13 marzo 1314 scompaiono definitivamente dalla storia con la morte sul rogo del gran Maestro Jacques de Molays assieme ad altri dignitari dell’Ordine, l’ultimo sguardo rivolto a Notre Dame, Nostra Signora.
Uno di questi era antenato di Goffredo de Charnay, colui che 40 anni dopo avrebbe reso pubblica la Sacra Sindone. Probabilmente fu l’adorazione, nelle Commende templari, del volto di Gesù segnato dalla passione, assieme ai riti orientali che avevano assorbito nei due secoli in Palestina, a far accusare i Templari di idolatria e quindi di eresia.
Anche la Sacra Casa di Loreto, dove si venera la Madonna Nera, nasconde un segreto che risale ai Templari: anni fa, sotto il pavimento furono trovate 5 croci patenti rosse in stoffa. Le tre pareti originali coincidono perfettamente con la quarta rimasta a Nazareth. Coincide anche la data del “trasferimento”: 1291, la caduta di Acri.
L’ultima grande impresa prima di lasciare la Terrasanta.
Milano non poteva sottrarsi al volere di papa Clemente V che, attraverso i commissari Domenicani, sottopose al giudizio dell’Inquisizione, con la tortura e la condanna, questi monaci-guerrieri. Il 22 novembre 1307 inizia il loro calvario: una pergamena papale da Poitiers ordina il loro arresto immediato e la confisca dei beni a favore degli stessi Domenicani: da questo si può avere un’idea del “trattamento speciale” a loro riservato.
La mansione di Santa Croce dell’Ordine dei Giovanniti assorbe, successivamente, le proprietà templari. Si fondono gli insediamenti dei due Ordini che sono di tipologia diversa: le mansioni templari sono stanziamenti autonomi, disposti principalmente sulle grandi vie di comunicazione o lungo l’argine di torrenti, hanno un impianto edilizio a corte chiusa e sono munite di fortificazioni. Le commende giovannite sono invece distaccamenti dipendenti dalla precettoria di Santa Croce, per la cura dei pellegrini di passaggio. Nonostante lo scioglimento dell’Ordine e la reticenza ufficiale, dalla metà del ’300 in poi, i Giovanniti vengono abitualmente definiti come frati o cavalieri del Tempio.
A Milano sono profondamente radicati nella tradizione popolare, come sembrano confermare alcuni documenti del XV e XVI secolo, in cui sono riportate le diciture: “frati di San Giovanni nominati volgarmente frati de templo”; “Commenda di Santa Maria” dal volgo detta “al Tempo”. Questa consuetudine si è mantenuta, nella tradizione milanese, fino agli inizi del 1700. Le ultime notizie relative alla precettoria di Santa Maria del Tempio si trovano nelle Mappe Catastali del 1881, prima della demolizione avvenuta per la costruzione del padiglione “Riva” e della clinica “De Marchi” del Policlinico.
I Templari non furono gli unici a difendere la Cristianità. Rappresentano, però, l’incarnazione degli ideali cavallereschi più puri delle Crociate. Subirono un destino tragico contro il quale avrebbero potuto reagire, ma non vollero.
Furono, soprattutto, grandi “ingegneri del territorio”. Forzatamente. Per sostenere le ingenti spese in Terrasanta dovevano produrre in modo intensivo. Così, nei territori dove operarono, si attuò un grandioso progresso tecnologico, dovuto anche alle conoscenze acquisite in Oriente. Per questo a loro Milano deve molto.
A loro si deve la divulgazione della carta, appresa in Oriente, come dimostra un portale con il loro simbolo a Fabriano, uno dei centri più antichi dell’industria cartaria.
Sicuramente portarono con sè la nostalgia ed i misteri dell’Oriente: la via della seta con l’eco di Baghdad e dell’antica Babilonia, i profumi, le luci e le ombre di Damasco, il mito del Cairo che evoca i segreti dei faraoni.
Una leggenda narra che, prima di essere sopraffatti, fecero partire tre convogli con le reliquie più preziose. Uno di questi attraversò le Alpi incamminandosi sulla via “Francigena”. Sfiorò Milano ad ovest? Passò per Cascina Linterno? Quali reliquie conteneva?
Se fosse stato il “Sacro Graal” (la coppa usata da Gesù nell’Ultima Cena, poi utilizzata da Giuseppe di Arimatea per raccogliere il sangue che usciva dalle ferite del Suo Corpo) non possiamo saperlo.
Una cosa è certa: entrare nell’universo di questi cavalieri “senza macchia e senza paura” rappresenta comunque una riscoperta del “Sacro Graal” inteso come lo intendevano gli antichi Celti: aldilà della forma, un’esperienza e insieme un percorso all’interno di se stessi, una via mistica alla ricerca della Conoscenza.
Massimo de Rigo