L’Ordine dei Templari, sorto nel 1128, cadde in disgrazia nel 1307 e fu soppresso nel 1311 dal papa Clemente V.- La sua
fine fu determinata in generale dalla sete di potere politico-ecclesiastica e dal desiderio di Filippo il Bello, re di Francia, di appropriarsi delle sue ricchezze in particolare.
La sera del 18 marzo 1314, vennero arsi sul rogo a lento fuoco il Gran Maestro Jacques de Molay e altri esponenti dell’ordine. Il supplizio, ultimo di una lunga serie iniziata il 12 giugno 1310, ebbe luogo fra il giardino reale e il convento degli Agostiniani dove, poche ore prima, erano stati bruciati vivi numerosi sfortunati cavalieri francesi. I maggiori responsabili furono certamente Filippo il Bello e Clemente V, ma non meno colpevole fu Guglielmo di Nogaret, ministro guardasigilli di Francia e artefice dell’oltraggio e della prigionia del pontefice Bonifacio VIII verificatisi ad Anagni nel settembre 1303. Dante Alighieri li condannò apertamente (Purg. VII,109),ma Jacques de Molay aveva già invocato dal rogo su di loro la maledizione divina.
Il 20 aprile 1314 si teneva un’importante cena alla corte del re di Francia. Doveva essere definita la strategia per una pressione sul pontefice, affinché appoggiasse i nuovi piani del monarca, un messaggero giunse improvvisamente e comunicò la morte del papa subentrata dopo atroci dolori.
Da qualche tempo Clemente V stava male. Soffriva di febbri improvvise ed era tormentato da incubi. Il decesso non poteva tuttavia essere attribuito ad eventi naturali.- In realtà il papa era stato assassinato. Un Templare superstite, il cavaliere Evrard sopravvissuto alla tortura ed evaso dal carcere, aveva infiltrato tra i medici del papa alcuni seguaci che avevano somministrato all’ammalato una polvere di smeraldo in grado di forargli l’intestino. Bastava solo attendere.
Appena un mese separava l’anatema di Jacques de Molay dalla sede pontificia vacante. Un tempo troppo breve per non destare sospetti. Filippo il Bello e di Nogaret si saranno certamente chiesti a chi dei due sarebbe toccato la prossima volta.
Nel quartiere parigino di Sant’Eutsacchio, e precisamente in via Bourdonnais, c’era allora una rinomata fabbrica di candele di proprietà di un certo Engelberg. L’ambiente non era dei più raccomandabili. Vi si praticava infatti lo spaccio di droghe per realizzare filtri magici, alchimie e soprattutto veleni. Ciò non impediva tuttavia alla ditta di fregiarsi del predicato di “fornitore della Real Casa”. Tra le grandi candele ordinate dal palazzo reale c’erano aqnche quelle, bianchissime, destinate allo studio di Nogaret. Ebbene, il cavaliere Evrard era riuscito a farsi assumere proprio qui quale aiutante.- La giovane Beatrice d’Hirson, prima dama della contessa Mahaut, collaborò per la congiura. La ragazza era, tra l’altro, in contatto con Giovanni di Longwy, nipote del defunto Gran Maestro e quindi animato dagli stessi sentimenti contro il ministro. Beatrice consegnò al Templare un sacchettino contenete della cenere e una polverina bianca. La cenere era il residuo della lingua di un uomo fatto uccidere da Nogaret; la polvere era nientemeno che il “serpente del Faraone”, cioè solfo-cianuro di mercurio. Il sale avrebbe prodotto, per combustione, acido solforico, vapori di mercurio e composti cianidrici in grado di provocare intossicazioni cianidriche e mercuriali.- Evrard sistemò il veleno nelle candele, al cui lume Nogaret lavorava ogni notte respirando le sostanze venefiche. C’era solo da attendere.
In quel tempo bisognava risolvere questioni importanti, nelle quali l’astuzia del ministro sarebbe stata indispensabile. C’era il rischio di una guerra con i Fiamminghi, per la quale peraltro mancava il denaro, e incombeva il pericolo di una elezione di un nuovo papa appartenente alla famiglia Castani di origine spagnola, dalla quale era originario anche Bonifacio VIII, grande nemico di Filippo il Bello. Ma Nogaret era diventato inerte. Non parlava più ed era spesso in preda agli incubi. L’arcivescovo di Sens gli portò l’estrema unzione. Poco dopo spirò.
Filippo il Bello fu intimamente colpito dalla morte del suo ministro. Le angosce lo tormentavano. Aveva capito che per il suo turno era solo questione di tempo.- Era il 1314, l’anno delle sventure. Nel 714 l’Islam aveva invaso la Spagna. Nell’814 era morto Carlo Magno. Nel 914 c’era stata la vittoria di Bovine, che si era rivelata peggio di una sconfitta. L’indovino frate Martino aveva profetizzato una grave sventura proprio per il 1314. Un giorno il re si trovava a Clermont e volle andare a caccia. Dopo aver raggiunto un cervo, scoprì che l’animale aveva una specie di croce luminosa tra le corna. Rimase come ipnotizzato e cadde da cavallo. Poco dopo morì. La maledizione dei Templari aveva fatto il proprio corso.
Il re non ebbe tuttavia pace nemmeno dopo morto. La sua tomba si trovava nel monastero delle Domenicane. Sul suo petto era stato deposto un gioiello a forma di cuore: perle, zaffiri, rubini e, al centro, un cristallo con un frammento della vera croce di Gesù. Il 21 luglio 1695 un fulmine colpì la cappella funeraria del monastero domenicano. Il gioiello di Filippo il Bello fu distrutto. Certo, i veleni sono opera dell’uomo, ma i fulmini vengono dal cielo.
Con tali premesse bisognerebbe stare attenti prima di oltraggiare opere riconducenti a qualche dimensione dello spirito templare. Qualche residuo, corrosivo frammento di maledizione potrebbe essere ancora attivo e per una punizione bisognerebbe solo attendere. Non è naturalmente il caso di credere al malocchio, ma sarebbe bene tenerne conto, come è stato autorevolmente sostenuto.
C’è un allarme arsenico nella falde acquifere, come riferito dal Corriere della Sera del 26 novembre 2010. E’ vero che l’arsenico non è il mercurio, ma si tratta pur sempre di un veleno. Non è tuttavia il caso di preoccuparsi troppo ma, quando si scorgono all’orizzonte quattro cavalieri al galoppo, sarebbe prudente controllare se per caso non si tratti dell’Apocalisse.
Nerio de Carlo