Il cavaliere, una delle figure mitiche del medioevo letterario e cinematografico: alto sul suo destriero, racchiuso nell’impenetrabile armatura pesante, riconoscibile solo per il cromatismo vivace delle insegne.
Nell’immaginario collettivo esso appare inginocchiato dinanzi al sovrano mentre con la bendizione della Chiesa riceve l’investitura, e poi lanciato al galoppo in difesa della Fede e dei deboli…
In questo caso, il suo sovrano è il Cielo.
Il cavaliere è uno strumento della volontà divina, vera protagonista della composizione, ma anche di ogni percorso umano che non conosce lo scopo per cui è chiamato nel suo viaggio della Vita.
La cavalleria nasce come professione, derivando direttamente dall’usanza germanica del capo-tribù di circondarsi dei guerrieri più forti e valorosi; quando i capotribù si stanziano nelle terre d’Europa e si trasformano in re, ecco che allora questi “comites” – compagni, d’arme e d’avventure – si trasformano nelle varie “Tavole Rotonde” o compagnie di “Paladini” esaltate dalla letteratura successiva.
Chi sono i “cavalieri”?
Gli storici a questo punto si pongono un problema fondamentale: a quali persone è realmente possibile svolgere “il mestiere delle armi”?
L’immaginario collettivo vuole il cavaliere come appartenente alla “nobiltà”. Ma il concetto di nobiltà, inteso come discendenza di sangue e appartenenza ad un casato di antica origine, è di gran lunga successivo rispetto all’epoca che stiamo esaminando; la società del X secolo è dominata da un’aristocrazia guerriera che a volte si fregia del termine “nobile”, inteso come aggettivo che indica, in vario grado, una predisposizione d’animo piuttosto che un rango sociale.
(fonte: http://www.parodos.it/medioevo%20cavalieri.htm)